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MAGICA IRPINIA A CURA DI MASSIMILIANO CARULLO : SOLOFRA

30 dicembre 2019  –

 

Il silenzio del crepuscolo regala al borgo di Solofra la magia e l’incanto di un tempo passato che, alla morbida soffusa luce dei lampioni, sembra prendere vita al ritmo cadenzato dei miei passi, unica nota, in questa sera di dicembre, insieme con l’allegro zampillare dell’acqua dalle fauci dei quattro leoni di pietra calcarea, cui l’abilità e la perizia degli artigiani conferirono leggerezza e morbidezza.

Mi fermo ad ammirare l’elegante bellezza della Fontana che, a mo’ di ouverture, introduce alla magnifica apoteosi della piazza San Michele, resa superba dagli splendidi edifici della Collegiata di San Michele Arcangelo e del Palazzo ducale Orsini. E penso come questa piazza sia sintesi perfetta delle diverse anime del paese e delle sue più significative vocazioni. Potere della Chiesa e potere laico. Acqua e Sole. Spirito fieramente libero e prepotenza feudale. Virtù cristiane e doti mercantili.

Popolata sin dall’Età del Bronzo, per la sua posizione favorevole e per le numerose sorgenti che nascono dai Monti Picentini che la circondano e che rendono la conca ricca di vegetazione (tanto che si pensa che il toponimo derivi dall’italico-sannita salufer, da cui il latino saluber), la valle vide il succedersi di diversi popoli e dominazioni. Sconfitti alfine i fieri e strenui Sanniti al principio del III secolo a.C., i Romani si stanziarono nella valle, ove costruirono diverse villae rusticae (i cui resti più importanti appartengono ad una villa di età imperiale) e ove introdussero, dall’Oriente, con la dinastia dei Severi, il culto del Sol Invictus. Tanto che si pensa che il toponimo possa derivare anche dall’incrocio dei due termini latini Sol ed Ofra (“Offerta al Sole”): il che spiegherebbe le tante raffigurazioni del Sole che arricchiscono e caratterizzano numerosi dipinti e sculture solofrane, nonché l’immagine del Sole che campeggia al centro dello stemma del Comune. Già in epoca romana il volto devozionale si affianca all’intraprendente spirito mercantile della colonia, sviluppando importanti attività legate alla concia delle pelli (molti antichi toponimi quali Vellizzano, Campo del lontro, Scorza, Cantarelle, Burrelli testimoniano la presenza di quest’attività originariamente legata alla pastorizia) e alle fornaci per laterizi, pavimenti e recipienti.

Il crollo dell’Impero romano e il periodo di instabilità e di pericolo per le incursioni barbariche che ne seguirono non ebbero particolari conseguenze sull’economia del borgo, che si avvicinerà sempre più al Principato longobardo di Salerno. Alla dominazione longobarda è legata l’arte dei Battiloro, gli artigiani che riducevano l’oro in lamine sottilissime per impreziosire oggetti, quadri, stoffe e, naturalmente, le pelli. Solofra, infatti, primeggiava nell’arte dell’oropelle: la pelle conciata veniva indorata e, così impreziosita, veniva impiegata per la rilegatura di libri, finimenti per cavalli e cavalieri, ornamenti di abbigliamento e nell’arredamento di case.

Le attività mercantili e artigianali furono sostenute e rilanciate anche dai successivi feudatari: dai Ticarico, con cui Solofra divenne un’universitas feudale autonoma, ai Filangieri di Candida agli Zurlo di Napoli. Quando, però, con la vittoria degli Aragonesi, il feudo passa al demanio e, successivamente, ai della Tolfa, la comunità solofrana, resa opulenta dalla lavorazione e dal commercio delle pelli, decide di riscattare il feudo. Quello che segue, dal 1535 al 1555, è uno dei periodi più floridi della storia della città: liberi dall’oppressione feudale, i prodotti artigianali possono essere liberamente messi in commercio e favorire, così, l’ulteriore crescita economica del borgo.

Espressione della fiorente economia di questo periodo fu la costruzione della maestosa Collegiata di San Michele Arcangelo, edificata in sostituzione della chiesa dell’Angelo, divenuta ormai troppo piccola. La Collegiata, sicuramente uno degli edifici religiosi più importanti della Campania, ipnotizza lo sguardo per l’elegante maestosità della facciata tripartita che, impreziosita dalle splendide porte intagliate in legno di castagno e noce, anticipa la suddivisione interna in navate. Il soffitto a cassettoni in legno della navata centrale e del transetto è un tripudio di angeli, fissamente sospesi a protezione dei fedeli. Opera del pittore caravaggesco solofrano Francesco Guarini e del di lui padre Gian Tommaso, le 21 tele della navata centrale, relative all’Antico Testamento, e le 21 del transetto, riferite al Nuovo Testamento, fanno della Collegiata l’unica chiesa al mondo in cui si celebri l’angelologia: ciascuna delle 42 tele racconta, infatti, l’intervento dell’angelo a favore dell’uomo.

Ma la Collegiata è anche simbolo della fierezza indomita del popolo solofrano e della sua resistenza al potere feudale degli Orsini. Divenuti signori di Solofra dopo la breve parentesi dell’autonomia del borgo dal potere feudale, gli Orsini, pur avendo firmato nuovi Statuti che riconoscevano all’Universitas quei diritti che essa aveva acquisito col tempo (uso delle acque, dei forni, dei mulini), finirono col non adempiere agli impegni presi. Anche la costruzione del Palazzo ducale fu segnata da controversie, perché gli Orsini lo costruirono molto vicino alla Collegiata, come manifesto segno della supremazia del proprio potere. Sicché, contro l’arroganza degli Orsini, all’Universitas di Solofra non restò che intentare una causa, che si concluse con la vittoria della comunità.

L’indole battagliera dei Solofrani, di cui è espressione San Michele Arcangelo, patrono del paese, la fierezza ostinata, di ascendenza sannitica, il desiderio, affatto romano, di essere artefici del proprio destino sono sicuramente alla base dello spirito imprenditoriale di questa comunità, che, nel corso dei secoli, è riuscita a dar vita ad uno dei più importanti poli italiani nella lavorazione delle pelli ovo-caprine, forgiando maestranze altamente specializzate in grado di generare dalla grezza pelle delle vere e proprie opere d’arte. Un esempio su tutti: la pelle di nappa per il giubbotto rosso con strisce nere che Michael Jackson indossò per il video di Thriller è stata lavorata nel polo conciario di Solofra.

L’arte della concia, a Solofra, è stata, però, resa possibile grazie anche -e soprattutto- alle straordinarie risorse che la Natura ha elargito a queste terre: ricchezza di acqua sorgiva, abbondati allevamenti, fitti castagneti da cui ricavare il tannino indispensabile al trattamento delle pelli.

Una natura mistica e selvaggia insieme, su cui la mano dell’uomo si è posata rispettosamente tracciando sentieri come quello delle Neviere, conche artificiali che, adibite all’accumulo delle precipitazioni nevose, grazie alla particolare posizione delle rocce e alla fitta vegetazione, riuscivano a conservarsi fin quasi alla fine del periodo estivo, consentendo il trasporto del ghiaccio pressato fino a fondo valle per gli usi e le esigenze locali. O come il sentiero degli acquedotti, antichi ponti settecenteschi che trasportavano l’acqua per alimentare mulini e fontane. O come i sentieri che, attraverso odorosi boschi di faggi, aceri, frassini, castagni, raggiungono gli straordinari belvedere che punteggiano i monti che racchiudono e custodiscono il borgo.

L’aria sa di neve. Il freddo si è fatto più pungente. È tempo di lasciare il borgo e fare ritorno a casa. Mentre i lampioni dolcemente spengono la loro luce e la notte avvolge delicatamente la piazza.