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MAGICA IRPINIA A CURA DI MASSIMILIANO CARULLO : SERINO

13 gennaio 2020  –

 

Quello che ho intrapreso attraverso le terre d’Irpinia è un viaggio che, di valle in valle, borgo dopo borgo, si arricchisce sempre di nuove e inaspettate suggestioni, a svelare il fascino misterioso e schivo, quella modestia un po’ guerriera propri del mio popolo e della sua estrazione contadina. Un popolo caparbio e tenace, laborioso e guardingo, fiero e indomito, abbarbicato alla propria storia con la forza del cuore, mai dimentico delle proprie origini, orgogliosamente testimone delle proprie radici.

Ed è proprio nel corso di un siffatto viaggio che mi sono imbattuto in un personaggio (di cui -confesso- ignoravo l’esistenza) che mi ha letteralmente stregato. Un piccolo grande uomo che, con la sua umile esistenza straordinaria, mi sembra possa ben assurgere a simbolo della tempra irpina. Sto parlando di Sabato “Simon” Rodia.

Nato nel 1879 a Serino, in frazione Ribottoli, Sabato testimonia, già nel nome di battesimo, l’appartenenza alle terre che si distendono lungo le rive del Sabato, il fiume che vide l’insediamento della tribù degli Irpini, appartenenti a quel popolo dei Sanniti che, nel primo millennio a.C., si stabilì nell’Avellinese giungendo fino al mare e al promontorio del Gargano. Nello specifico, erano chiamati Sabatini quegli Irpini che abitavano i territori sulle due sponde del fiume Sabato. Il termine deriverebbe da Sabus, antico dio dei Sanniti, da cui verrebbero, appunto, sia il nome del fiume Sabato sia quello del popolo dei Sabatini sia, anche, quello della misteriosa Sabatia, (citata solo a partire dal XVII secolo), città fortificata capitale dei Sabatini. Tuttavia, a onor di cronaca, c’è chi ritiene che Sabatini derivi da Sabato, a sua volta, derivato, in virtù della natura torrentizia del fiume, dalla radice saba (=arena, limo), mentre Sabatia verrebbe da un antico progenitore di nome Sabatio, un pronipote di Noè sopravvissuto al diluvio universale, il quale, giunto in Italia a seguito di una migrazione, avrebbe fondato la città che da lui prese il nome. Secondo la tradizione, il sito ove sorgeva la mitica Sabatia corrisponderebbe al sito oggi noto come Civita di Ogliara, una cinta muraria, alta fino a 8 metri, di cui rimangono più di 2 Km. Altri, tuttavia, ritengono che l’origine della città sia da collocare nel 410 d.C., quando il popolo dovette difendersi da Alarico, re dei Visigoti, o nell’839 d.C., in seguito alla guerra civile nel principato longobardo di Benevento. E, difatti, a testimoniare la presenza longobarda è il Castello feudale, sito nella frazione Canale, che, custode della storia più antica di Serino, ha dato i natali al pittore Francesco Solimena, considerato uno degli artisti che meglio incarnano la cultura tardo-barocca in Italia.

Ma ritorniamo a Sabato Rodia. A causa delle condizioni di povertà in cui versava la famiglia, fu costretto, all’età di 15 anni, insieme con il fratello maggiore, a emigrare negli USA, dove gli addetti di Ellis Island trasformarono il suo nome in Simon. Dopo la morte del fratello maggiore in una miniera della Pennsylvania, Rodia decise di spostarsi a Seattle, dove sposerà, nel 1902, Lucia Ucci, da cui ebbe tre figli. Separatosi dalla moglie nel 1912, condusse una vita errabonda e viaggiò per l’intero continente americano, adottando lo stile di vita degli hobo, senzatetto girovaghi che sopravvivevano grazie a lavori di manovalanza occasionali. Nel 1920 si stabilì a Watts, una baraccopoli multietnica alla periferia di Los Angeles, regno di reietti e disperati. E qui, nel 1921, ubbidendo ad un’irrefrenabile urgenza dello spirito, unicamente con materiali di scarto raccolti nel quartiere, senza scale o ponteggi e utilizzando esclusivamente semplici arnesi come martello, scalpello, cazzuola, comincia a costruire l’opera che, senza che Simon ne avesse intenzione alcuna, lo avrebbe reso famoso. Le Watts Tower, tre torri alte fino a 30 metri e a cui Simon dedicò ogni attimo del suo tempo libero per oltre trent’anni, fino al 1954, sono il frutto di una fanciullesca genialità creativa, che, armonizzando in un sogno visionario conchiglie, mattonelle, posate, cocci di vetro, di ceramica, di porcellana -oggetti inutili e abbandonati dalla civiltà delle macchine-, ha dato colore e trama alle sue fantasie oniriche.

Battezzate da Rodia Nuestro Pueblo, mi piace pensare che, nelle intenzioni di questo artista “analfabeta” non riconducibile ad una precisa corrente artistica, le torri, che svettano contro l’azzurro come guglie gotiche, vogliano testimoniare la Bellezza che vive anche e soprattutto nei piccoli semplici oggetti abbandonati. E che rifulge, anche e soprattutto, negli umili, negli emarginati, nei vinti della vita: anche nel degrado e nello squallore del ghetto, la Bellezza possiede il potere di creare un mondo fiabesco, magico, evanescente. È un messaggio di fede e di speranza nell’Uomo, che, contando unicamente sulle sue proprie forze, può spingere lo sguardo verso il cielo e dotarsi delle ali di Icaro per volare verso il Sole. Divenendo parte della meravigliosa armonia del Creato.

L’audacia incantata dell’architettura visionaria di Rodia gli valse un posto d’onore -unico italiano- sulla copertina più famosa della storia del rock: quella di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, dove il volto di Samuel Rodia fa capolino tra quelli di Edgar Allan Poe, Fred Astaire, Carl Gustav Jung, Bob Dylan, Marylin Monroe, Shirley Temple, Albert Einstein, Karl Marx.

Di quel mondo di armoniosa bellezza Simon -ne sono certo- aveva fatto esperienza nella nativa Serino, da cui ricette la memoria di una natura incontaminata, che, resa rigogliosa dalle abbondanti acque cristalline, abbracciava e custodiva paesaggi di incomparabile bellezza. Già i Romani avevano compreso le opportunità offerte dal territorio serinese. Ne è esempio l’acquedotto fatto costruire da Ottaviano Augusto per l’approvvigionamento idrico della flotta di stanza a Capo Miseno. L’imponente acquedotto, con i suoi 96 Km, frutto della strabiliante perizia ingegneristica romana, partiva dalle sorgenti del Sabato, sul Monte Terminio, e culminava nella Piscina MIrabilis di Bacoli.

Ma a Serino la Natura sostenta e alimenta anche la Fede, che, a sua volta, suggella la sacralità di questi luoghi immersi in un mistico silenzio. Simbolo di fede incastonato nella roccia è la Grotta del Santissimo Salvatore, che assume un’importanza tutta particolare perché unisce i due culti del Salvatore e di San Michele Arcangelo. Secondo la leggenda, la grotta un tempo era abitata dal Diavolo, che, scacciato dall’Angelo, fu precipitato dalla vicina rupe, lasciando dietro di sé una lunga e rossa striscia di sangue, da allora sempre visibile. È quella che la tradizione popolare chiama strascina ro’ riavolo.

Espressione della fede del popolo serinese sono, tra l’altro, l’Oratorio Pelosi, una cappella gentilizia del 1745, che, impreziosita da un bellissimo portale in legno d’olivo, rappresenta un raro esempio di architettura barocca in Irpinia; il Convento di San Francesco d’Assisi, costruito nel 1617 sui ruderi della cappella di San Giacomo apostolo, con un bel ciclo di affreschi del Ricciardi sulla vita e i miracoli dei santi francescani; il Monastero delle Clarisse, datato 1599, in stile tardo-barocco, arricchito da affreschi con episodi tratti dal Vecchio Testamento, mentre un grande olio del Ricciardi, raffigurante la maternità della Madonna, del 1715, ne impreziosisce il soffitto.

Ma Serino è anche folklore, con la sua Mascarata, rassegna carnascialesca volta a eleggere la maschera più bella delle 24 frazioni; è enogastronomia di eccellenza con, sopra a tutto, la Sagra della castagna, che, tenuta da oltre 40 anni, è una delle più antiche d’Europa; è arte e cultura, con Canalarte, una delle più importanti rassegne italiane di artisti di strada: trampolieri, mangiafuoco, musici, cantastorie, colorati gruppi folcloristici giungono qui da ogni parte del mondo e riempiono di policroma allegria i vicoli e le piazze di Serino.

Serino. Paese dell’acqua. Luogo generatore di Bellezza.